Quando l’anonimo affreschista dipingeva sulla povera parete del pilone in riva al lago Grande di Avigliana una Madonna del latte, partecipava, forse inconsapevolmente, ad uno dei modi più tradizionali di rappresentare Maria e il piccolo Gesù. L’immagine esprimeva significati che si rifacevano a figure desunte dall’antico testamento, alla terra promessa dove scorreva latte e miele ed al vangelo di Luca: “Una donna alzò la voce in mezzo alla folla e disse: Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte! Ma Gesù disse: ‘Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Luca 11,27).

Le prime raffigurazioni della Madre di Dio nutrice sono state prodotte in ambito africano, presso la Chiesa Copta. Successivamente il motivo fu ripreso dalla Cristianità d’Oriente e a partire dal secolo XIV l’immagine di Maria Lactans si diffuse anche in Occidente. Maria che offre il seno al Bambino diventò uno dei motivi prediletti dell’iconografia mariana, dal Nord al Sud dell’Europa. La teologia era surrogata da un gesto, il più naturale del mondo, che veicolava, per le persone digiune di scienze religiose, il significato di una profonda relazione tra il Figlio e la Madre: la maternità di Maria era così rappresentata nella sua accezione più diretta e parlante.

L’immagine di Avigliana è altamente coinvolgente: seduta su un seggio coronato da cuspidi con piccoli stendardi, Maria, dopo essersi slacciata la veste, porge il seno al piccolo Gesù, entrambi guardano il fedele che si sofferma in preghiera. Le vesti sono semplici: una tunica rossa e un manto nero foderato di bianco per la Madre e una vestina verde per il piccolo Gesù; alcune finezze sottolineano la cura con cui le figure sono state realizzate: le aureole, il colletto dell’abito del piccolo Gesù, il bordo della veste e la cintura della Madonna sono decorati con bottoni in pastiglia, forse un tempo dorata.

Il pilone fu fatto segno di attenzione e di devozione, ma, stando a quanto scrive lo storico del santuario il padre Placido Bacco da Giaveno, nel 1447, per ordine di Ludovico di Savoia (1413-1465), fu rinnovato e l’immagine, forse corrosa dagli agenti atmosferici, fu ridipinta secondo il gusto del tempo, ed è quella che vediamo ancor oggi. Con la costruzione del nuovo altare e la messa in opera del polittico dono di Carlo Emanuele I, l’antica effigie fu coperta. E fu grazie alla forza suggestiva di questo complesso dipinto che, un poco alla volta (forse in questo vi fu una sollecitudine dei religiosi, desiderosi di esportare un’immagine del santuario più conveniente e legata alla casa regnante), l’attenzione si spostò dal pilone primitivo alla pala dell’altare maggiore e il piccolo santuario, luogo di venerazione della Madonna del latte, fu indicato come quello dell’Annunziata.

Antica immagine della Madonna del latte.

L’immagine del pilone può essere considerata come un prodotto tipico della cultura figurativa denominata gotico internazionale. Avigliana non è distante dall’asse che congiunge Sant’Antonio di Ranverso a Pianezza teatro delle imprese di Giacomo Jaquerio (1375 circa – Torino, 1453), uno dei più significativi pittori che operarono al di qua delle Alpi Occidentali nei primi decenni del Quattrocento. Le immagini che popolano il presbiterio e la sacrestia della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso e quelle che animano l’abside maggiore della Pieve di San Pietro a Pianezza testimoniano un gusto che fu anche del pittore del pilone di Avigliana.

Dopo la costruzione del nuovo santuario, nella prima metà del Seicento, l’immagine sul pilone rimase nascosta dal polittico dell’Annunziata, tuttavia, “i religiosi per conservarne la memoria, nel 1760 la fecero riprodurre dal pittore Boltenau nel coro dietro l’altare maggiore. Soltanto con i lavori di restauro e di ammodernamento del santuario del 1912 l’antica effigie fu riproposta alla devozione dei fedeli, unitamente alla copia settecentesca, sulle opposte facce del pilone collocato al centro del coro.