I tre altari del santuario furono costruiti in legno in momenti diversi. L’altare maggiore fu realizzato nel 1642, all’epoca della consacrazione della nuova chiesa e i minusieri furono Pietro Botto e Francesco Busso. Il Botto era nativo di Savigliano (Cuneo) e creò numerosi complessi scultorei, sia di carattere religioso che profano, in gran parte del Piemonte occidentale, in collaborazione con il fratello Giorgio (fino al 1630) e, come nel nostro caso, con altri colleghi. Morì a Torino prima del 1665. Di Francesco Busso poco si conosce; un solo documento certifica la sua attività nel 1674 quando preparò alcune cornici per il castello di Moncalieri.

Questa di Avigliana è opera della maturità del Botto e ne manifesta la perizia esecutiva unita ad una notevole inventiva nonostante le costrizioni imposte dal soggetto.

Altare maggiore.

La mensa in muratura, coperta anteriormente dal paliotto dorato, dono di Vittorio Amedeo III (il rivestimento originario, forse, era di tela dipinta come l’analogo all’altare del Crocifisso), è compresa tra due imponenti mensoloni in legno di noce arricchiti con foglie di acanto. Sopra la mensa sono collocati tre gradini per i candelieri e gli addobbi di rito, la forma degli originari è a gola rovesciata e sono decorati a bassorilievo sul fondo bulinato. Grappoli d’uva intervallati da foglie di acanto sono gli ornamenti del primo, il superiore è fasciato da foglie di acanto e baccelli. Uno stacco sagomato accoglie il tabernacolo tartaruga. Due piedistalli, con teste alate e coronate di cherubini, sorreggono le colonne con capitelli corinzi. La superficie liscia del fusto di colonna è decorata alla base con teste di cherubini e drappeggi penduli mentre la parte rimanente è avvolta da spire di rose. Il fantasioso coronamento è formato da un timpano, con la parte centrale arretrata che, a sua volta, contiene un analogo elemento a volute che racchiude una testa angelica; le cornici sono decorate con ovuli e dentelli e, sulle superfici lisce, i minusieri hanno inserito vivaci decorazioni a girali vegetali. Due volute, trionfi di frutta e teste angeliche sono poste sui bordi laterali dell’ancona. L’assetto originario dell’altare è stato alterato nel 1912; per far si che la cupola del prezioso tabernacolo in tartaruga non coprisse parte del polittico, si sopraelevò tutta la cornice che lo conteneva: si raddoppiò l’altezza dei plinti di base delle due colonne dell’ancona e si aggiunse un nuovo gradino alla mensa dell’altare mentre uno degli antichi veniva accresciuto.

I due altari laterali, attualmente dedicati al Crocifisso e a San Felice da Cantalice, risalgono agli anni 1713-1715 e furono realizzati dallo scultore Francesco Crotti di Torino. Forse in origine erano delle semplici mense in muratura sormontate dalle tele raccolte entro cornici dipinte.

Altare di San Felice.

L’altare che ospita la pala di San Felice, frate cappuccino che visse tra il 1515 e il 1587 e trascorse gran parte della sua vita a Roma, realizzata nel 1713, all’indomani della canonizzazione del Santo, avvenuta il 22 maggio del 1712. La cappella precedentemente era dedicata a San Maurizio e, ovviamente, sopra l’altare era collocata la tela del Santo di Guido Reni. Certamente fu l’effetto positivo di questa soluzione che spinse i frati a rivestire, con analoghe forme e decorazioni, anche la cappella sul versante opposto, da sempre dedicata al Crocifisso con San Francesco. La commissione di questo lavoro al Crotti risale al 1714 ma la messa in opera degli intagli è del 1715.

La struttura dei due altari è sostanzialmente identica: due alti piedistalli raccolgono la mensa e i due gradini sopra di questa. Le cimase reggono due colonne che racchiudono la pala; nel terzo inferiore sono tortili con decorazioni vitinee, un omaggio alla tradizione che vede nelle più famose colonne vitinee di San Pietro in Vaticano il modello cui ispirarsi, il resto del fusto è cilindrico e scanalato. Le basi delle colonne, al pari dei capitelli corinzi, sono state realizzate con grande maestria. Il modello di queste colonne si trova in tanti altari secenteschi che lo scultore ebbe agio di vedere nelle chiese torinesi, ma l’utilizzo più aulico fu nella distrutta galleria di Carlo Emanuele I tra Palazzo Reale e Palazzo Madama a Torino. Le lesene retrostanti le colonne, più complesse in quello del Crocifisso, danno l’idea di un fondo leggermente concavo e fanno apparire la pala non inclusa, ma appoggiata alla struttura dell’altare. La superficie piana di contorno dei dipinti, la parte inferiore delle e la trabeazione sono decorate con girali di foglie di acanto, dipinte a monocromo sulla superficie del legno al naturale.

Altare di San Francesco.

Le divergenze dei due complessi si riscontrano nelle cornici che inquadrano i dipinti e nel coronamento dei due altari: la pala di San Felice è centinata, supera la trabeazione e termina contro la cornice superiore.

La cornice del dipinto del Crocifisso con San Francesco e invece rettangolare, anche questa non tiene conto dei vincoli imposti dalla struttura e va ben oltre la trabeazione.

L’inserimento di quest’ultima pala nella struttura non deve essere stata senza traumi per la tela; immediatamente si percepisce una certa angustia della composizione, quasi che sia stata abbondantemente decurtata ai lati e nella parte superiore. Il coronamento dell’altare del Crocifisso è semisecolare, quasi a contornare la finestra semilunare che sovrasta l’ancona; è composta da due angioletti inginocchiati ai due estremi e da nuvolette abitate da teste alate di cherubini. Al centro, che si staglia contro la luce, la figura di un angelo raggiato. L’altare di San Felice termina invece con una composizione più complessa: due volute con cascate di fiori reggono agli estremi due angeli seduti, una cornice orizzontale bombata, decorata con foglie di acanto chiude lo spazio occupato da una colomba, simbolo dello Spirito Santo, contornata da una raggiera; altri due angeli, in pose agitate, sono posizionati sulla cornice superiore dell’ancona.