Anche se i preparativi per la costruzione della nuova chiesa risalgono al 1619, con la fornitura di centomila mattoni da parte del fornaciaio mastro Bochetto di Netro, si mise mano alla fabbrica sacra unitamente ai lavori per il nuovo convento, che avrebbe dovuto ospitare la nuova comunità di frati cappuccini. L’impresa inizio con la sottoscrizione di una convenzione, firmata il 14 novembre 1622, con il capomastro luganese Bartolomeo De Jacobis (di Giacomo) che, a quel tempo, era attivo con la sua équipe a Giaveno per il castello del Cardinale Maurizio di Savoia. Il disegno della chiesa fu preparato dell’architetto ducale, pure esso luganese, Nicola Ramelli. Dell’antico edificio si conservò unicamente il presbiterio (con il pilone dell’immagine miracolosa, coperto dal polittico donato da Carlo Emanuele I) dietro il quale si realizzò un coro ad uso dei cappuccini. I lavori si protrassero per i due decenni successivi, fino al 1643, quando l’edificio sacro fu consacrato.

L’onere della fabbrica era stato in parte sostenuto dai duchi di Savoia; inizialmente da Carlo Emanuele I e dalla moglie Caterina d’Asburgo e successivamente da Vittorio Amedeo I e dalla consorte Madama Reale, Cristina di Francia.

In quel frangente non sono mancati altri segni di devozione da parte dei Savoia: forse fu lo stesso Cardinale Maurizio a donare all’erigendo nuovo santuario una serie di importanti dipinti realizzati da alcuni artisti tra i più significativi d’Italia.

Numerose furono le maestranze che concorsero all’abbellimento dell’edificio e segnatamente gli scalpellini Gabriele Casella, Pietro Busso che eseguirono le quattro colonne con i capitelli del pronao) ai quali si aggiunse Pietro Martire Riva, mastro scultore in pietra ed in marmo. È del 1638 la copertura della cupola ellittica e delle cappelle laterali con lose fatte venire dalla Savoia, condotte prima fino a Susa, quindi al santuario per ordine della duchessa Cristina di Francia e messe in opera da Antonio Rolla.

Come ricorda padre Bacco, per il 25 marzo del 1643, festa dell’Annunciazione, “in cui per la prima volta in quella seconda e nuova chiesa si solennizzava la Santissima Annunziata titolare della chiesa apertasi a pubblico culto, erano già stati posti alle finestre della chiesa i vetri necessari, pagati nell’agosto successivo da Cristina di Francia al mastro vetraio Andrea Isnardi di Saluzzo.

La chiesa è a pianta centrale con il vano principale di forma ovale sul quale si aprono tre ambienti a pianta quadrangolare: il presbiterio (con il prolungamento del coro) opposto alla porta di accesso principale, e due cappelle laterali coperte da volta a botte e illuminate da finestre semilunari. Al presbiterio si affiancano due vani, con tutta probabilità aperti sul presbiterio agli inizi del Novecento. Quello di ponente fu realizzato nel 1703, essendo guardiano il padre Francesco Felice ed utilizzato come coretto invernale. Dietro il presbiterio fu costruito il coro per la comunità cappuccina (in origine separato da un muro nel quale erano aperte due porte di collegamento) con accanto la sacrestia.

Esternamente la chiesa si presenta con una struttura architettonica tardo cinquecentesca di sobria eleganza. Non sono pochi i richiami stilistici che offre con la vittozziana chiesa del Monte dei Cappuccini di Torino: furono d’altronde le stesse maestranze ad eseguirla, anche se diverso fu l’architetto. Il massiccio corpo di fabbrica principale è preceduto da un pronao in salda muratura e fortemente chiaroscurato, con il fornice anteriore sorretto da quattro colonne di pietra di Chianocco con capitelli compositi. Timpano e arco trionfale sono affrescati e rappresentano rispettivamente l’Eterno Padre e l’Annunciazione. Nel 1700 la muratura perimetrale della cupola fu sopraelevata di cinque metri e la primitiva copertura a lose, che forse rivestiva l’andamento curvo dell’estradosso, fu sostituita da coppi. Accanto alla cupola, verso occidente, sorge il caratteristico campanile a base triangolare, edificato nel 1765 in sostituzione di uno precedente, demolito perché minacciava rovina.

All’abbellimento interno concorsero certamente le offerte dei fedeli, ma la tradizione ricorda che furono i Savoia a distinguersi per i doni più preziosi. Primo fra tutti Carlo Emanuele I, che offri il polittico dell’An hunciata. E’ tradizione che il cardinal Maurizio di Savoia, impegnato nel restauro del castello ducale nella vicina Giaveno, forse ricordando e volendo eguagliare la generosità del padre Carlo Emanuele I, abbia donato al santuario alcuni dipinti di altissima qualità: un San Maurizio capolavoro del pittore bolognese Guido Reni; un Arcangelo Michele del cremonese, ma attivo tra Monaco di Baviera e Mantova, Antonio Maria Viani; una copia coeva della Madonna dei Pellegrini di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, uno splendido San Francesco ai piedi del Crocifisso: ed infine una tela con Gesù avvolto nella Sindone di autore ignoto. A questi si affiancò il marchese Ludovico Provana con l’offerta di un bellissimo tabernacolo in tartaruga, e, non ultimo, Vittorio Amedeo III di Savoia che offri il contraltare intagliato e dorato, dell’altare maggiore che reca le sue iniziali.

Nel 1912, si fecero alcuni lavori di riqualificazione del santuario: il coro invernale dei frati e l’ambiente antistante la sacrestia furono aperti sul presbiterio con porte e finestrelle incorniciate con stucchi; al centro del vecchio coro si costruì un pilone in sostituzione dell’antico e si decorò la cupoletta e le lesene del presbiterio con una figurazione pittorica.

Una nota ai margini della costruzione del Convento

IL 16 aprile del 1621 Madama Cristina di Francia aveva fatto pagare ai barcaioli del Po in Torino 91 lire per trasferimento di alcune barche sul lago grande di Avigliana per uso del Duca. Quando i Cappuccini presero possesso del convento e in seguito iniziarono ad officiare la nuova chie sa, le barche furono lasciate a loro disposizione con la facoltà di avere un porto sopra il lago. In un documento del 1644 così si esprimeva Madama Reale: “Cristina di Francia duchessa di Savoia regina di Cipro etc. etc. Colla presente dichiariamo non essere mai stata mente nostra alienare dai RR. PP. Cappuccini il porto, ovvero barche, che d’ordine nostro sono state portate in quel luogo, come già abbiamo quelle concesse per il servizio del loro Convento. Così con questo ratifichiamo di nuovo detta concessione per il servizio loro e del loro convento, inibendo ad ognuno servirsi di dette barche senza la partecipazione ed autorizzazione de sovranominati Padri“.