Il dipinto, appeso in sacrestia, è una replica autografa della pala che Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano (1575-1633), dipinse per la chiesa del Monte dei Cappuccini, ora conservata alla Galleria Sabauda di Torino Esiste una terza versione del dipinto, anche questa eseguita dal Maestro, per la chiesa dei Cappuccini di Pavia: ora fa parte della quadreria del duomo cittadino. La scena è ambientata in un contesto di oscurità da dove emergono, colpiti da una intensa luce che proviene da sinistra, i componenti la sacra conversazione. La Vergine offre a San Francesco il piccolo Gesù; il Santo presenta evidenti i segni della passione e dal foro delle mani escono i chiodi ritorti. Sant’Antonio è leggermente defilato e guarda la scena reggendo e segnando col dito della mano sinistra, un libro; accanto a lui un giglio, suo distintivo iconografico, è abbandonato a terra. Il Santo diacono, sul lato opposto, rivestito con camice e dalmatica, tiene un libro aperto, ma pare disinteressato allo scritto e più attento al dialogo tra Francesco e Maria.
La Vergine con Bambino e i Santi Francesco, Antonio e Stefano.
Il Cerano appartiene a quella schiera di pittori che lo storico dell’arte Giovanni Testori ha definito come i pittori della peste, i “Pestanti”, illustratori delle vicende di San Carlo Borromeo, di violenze, di agonie, di miracoli e visioni sovrannaturali di Paradiso e di Inferno.
La pala di Torino fu eseguita poco dopo il 1633 e, con tutta probabilità, anche questa del santuario fu consegnata dal pittore in quel giro di anni. C’è chi ritiene che questa di Avigliana sia un bozzetto di quella ora alla Sabauda, ma giocano a sfavore le dimensioni dell’opera.
La presenza poi delle due opere al Monte e al santuario di Avigliana, può essere letta come un segnale di dipendenza e di considerazione, ma anche come il frutto di una medesima azione benefica.